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Le catene dell’anima

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Seduta su una panchina del giardino, guardavo i giardinieri tagliare e sistemare i roseti, la giornata era soleggiata, era il 19 marzo, la festa del papà, ma non potevo festeggiarla, non conoscevo il mio vero padre. Un venticello leggero soffiava spettinandomi i lunghi capelli, con la mano cercai di sistemarmi la frangetta, ero davvero triste, ma cercai ugualmente di non pensarci.
Mi alzai dalla panchina e notai che uno dei giardinieri mi osservava, era giovane, ma essendo di ottima famiglia non avrei mai potuto parlare con lui, la mia matrigna mi avrebbe rimproverato bruscamente.
Dimenticavo, sono una ragazza orfana, mi abbandonarono quando ancora ero in fasce, una cesta e un biglietto dove c'era scritto il mio nome: “Angelica”.
Mi lasciarono davanti al giardino di una facoltosa famiglia. Ora ho 15 anni e sono malata, una malattia che non so se mi farà vivere a lungo, la leucemia mieloide.
“Signorina” mi girai di scatto i miei occhi si fermarono sul viso del giovane Maurice, era bello, bruno, alto e occhi verdi, le guance presero fuoco e per la timidezza scappai, mentre lui restò davanti al roseto.
“Ti ho detto mille volte che fuori non devi stare” “Scusami mamma ma la giornata è bella e...” “Zitta, sempre a civettare con quel ragazzino, ricordati che non puoi prendere malanni” “Certo, lo so...”
Con me era sempre burbera, l'unico che mi trattava bene in quella casa era il marito, che molto spesso mancava da casa, il suo lavoro di avvocato già gli prendeva troppo tempo, e la moglie non faceva altro che prendersela con me.
Non ha potuto avere figli, e da quando il mio patrigno mi portò a casa la situazione catapultò tra di loro.
Rientrai nella mia stanza, la mia condizione fisica non mi permetteva di poter stare a lungo fuori, ero troppo debole e spesso per far passare le mie giornate mi mettevo seduta davanti al balcone, mi divertivo a guardare le foglie cadere dagli alberi, le contavo una ad una.
Ecco di nuovo lui, mi fissava insistentemente da giù, avrei voluto parlargli ma ero sotto stretto controllo, tutto ciò mi rendeva agitata e ansiosa, non sopportavo quella megera, mi comandava a bacchetta. Aprii la finestra lentamente e lo salutai, lui mi sorrise, e mi chiese: “Come si sente oggi?” “Bene grazie, sei gentile” “Ero preoccupato per ieri, quello svenimento improvviso...” “Devo salutarti c'è qualcuno dietro la porta” si, era lei, entrò spalancando la porta e si avvicinòi sempre di più verso di me dandomi uno schiaffo, restai intontita: “Domani ti dovrai ricoverare, fai sempre di testa tua” “Ricoverare? E perchè?” “Per controlli, lì ti terranno d'occhio, visto che qui fai quello che ti pare” le risposi che avrei voluto sentire il mio patrigno, ma lei infuriata mi disse:
”Qui comando io!” Non mi restava altro che piangere in silenzio, mentre lei si allontanava dalla mia stanza.
Quel giorno passò in fretta, e arrivò il giorno del mio ricovero in ospedale.
Guardavo quella struttura gigantesca mentre ci avvicinavamo, un po' mi faceva paura, pensavo: “Chissà se da qui nè uscirò viva”, La clinica pullulava di infermieri e medici, la gente seduta ad aspettare il loro turno ed io lì tra loro.
Ad un certo punto sentii il mio nome e cognome: “Angelica Smeet, da questa parte venga...”
camminavo lungo i corridoi e mi guardavo intorno, tutto era così triste, mi fermai un istante solo, ma una mano mi tirò in avanti, perchè proprio in ospedale? Non potevono curarmi a casa? Sapevo benissimo che la mia matrigna non mi sopportava, e mi chiedevo, non mi sopportava a tal punto da farmi ricoverare? O le mie condizioni fisiche erano davvero peggiorate?
“Questa è la sua stanza, e quello è il suo armadietto, li vicino alla finestra c'è il suo letto” “Grazie” risposi, e subito mi lasciò in stanza andando via, sicuramente a parlare con qualche medico, io nel frattempo mi preparai il pigiama.
In quella stanza ero sola, almeno per il momento, non c'era nemmeno un televisore, che sfiga, meno male che almeno mi portai qualcosa da leggere.
Entrò un medico nella mia stanza seguiti da tre infermieri, lei non c'era, e pensai:”Grazie, lasciata da sola al mio destino”
“Domani faremo degli accertamenti, esami del sangue, elettrocardiogramma e visita anestesiologica”
visita anestesiologica? Come, per quale motivo?
“Scusi dottore, ma per quale motivo la visita anestesiologica?”
“Se è necessario dovremo intervenire”
“Ma l'attesa per il midollo osseo è lunga” risposi, “No, qualcuno ha deciso di donartelo” “Chi?” chiesi ingenuamente “Non possiamo dirlo c'è la privacy”.
Pensai che la mia matrigna non poteva essere, se fosse stato qualcuno della famiglia lo avrei saputo, ma allora chi era costui o costei che avrebbe sofferto con me? Lo avrei voluto ringraziare, ma non sapevo come.
Il tempo sembrava non passare mai in questa stanza, gli infermieri entravano e uscivano dalla camera, chi mi portava delle pillole, chi mi misurava la pressione, chi mi portava il pranzo, chi mi chiamava per farmi dei controlli.
Non veniva nessuno a trovarmi nelle ore di visita, la mia testa qui dentro scoppiava.
Passò più una settimana dal mio ricovero, finalmente qualcuno si degnò di farmi visita, era Maurice, vedendolo, mi si annebbiò la vista e il cuore cominciò a palpitare all'impazzata, quasi da sentirmi male:
“Buongiorno” “Buongiorno, voi qui?” “Ho saputo del suo ricorvero e sono venuto a trovarla” “Sei carinissimo” “Dicono i medici che dovrò fare l'intervento al midollo osseo ed io ho tanta paura” lui allora si avvicinò e mi strinse forte le mani per farmi coraggio e sussurrando mi rispose:
“No, la paura lasciala da qualche altra parte io sarò al suo fianco quel giorno”
non riuscivo a capire cosa intendesse dirmi, però mi diede la forza necessaria per non cadere in depressione.
“Nessuno è venuto in questi giorni?” “No, mi hanno lasciata da sola” “Non sei da sola adesso ci sono io qui con lei” “Maurice, dammi del tu” “Grazie, ma la differenza sociale tra me e te è molto elevata e...” “Niente storie...”
Maurice prima di andar via mi abbracciò forte e mi diede un bacio sulla guancia, io restai immobile a guardarlo, forse lui aveva capito il mio stato d'animo, poi lentamente avvicinò le sue labbra alle mie sfiorandole appena.
“Scusami, non volevo” rispose imbarazzato, io arrossì “Quando dovrò operarmi?” “I medici dicono domani” “Bene, augurami un in bocca al lupo e che tutto vada bene” “Ti auguro tutto il bene di questo mondo Angelica, io... io...” “Dimmi... cosa c'è?” “Nulla a domani”
e lasciandomi la mano delicatamente andò via, mentre le mie ansie crescevano.
Entrò un medico dopo circa mezz'ora e mi diede dei ragguagli sul trapianto di domani: “In queste settimane abbiamo effettuato una serie di esami, chemioterapia e radioterapia, domani dovrà essere al massimo delle sue prospettive, deve pensare che tutto andrà per il meglio senza pensare ai rischi, pomeriggio passerà un psicologo che parlerà con lei, in modo di affrontare bene questa malattia e vincerla, dopo le diremo come si dovrà comportare a casa”
io restai impietrita, sembrava che tutto il mondo mi stesse crollando addosso, forse era più facile morire che sottoporsi a tutto questo, sembrava quasi un esecuzione.
Quel pomeriggio parlai a lungo con il psicologo le ansie mi attanagliavano il cuore però dopo ore di discussione mi fece stare a mio agio, e mi spiegò o per lo meno mi ha allegerito qualche dubbio al riguardo.
Infatti quella sera non riuscii a dormire, domani era il grande giorno o l'ulimo? In mattinata arrivarono gli infermieri che mi portarono in sala operatoria, li fui anestetizzata. Accanto a me un altro uomo era disteso sotto l'effetto dell'anestesia gli prelevarono il midollo osseo dalle creste iliache. La durata dell'intervento fu di circa un ora, poi mi riportarono in stanza, avevo il catetere, ossigeno e flebo.
Mi svegliai dopo qualche ora, avevo una nausea tremenda, e chiamai l'infermiera di turno che venne immediatamente: “Ha chiamato?” “Sto male” “Non si agiti è la reazione dell'anestesia” tremavo e sentivo freddo, forse stavo morendo, pensai. “Ascolti, non faccia così si tranquillizzi e cerchi di riposare, vedrà che le calmerà a breve, cerchi di stare serena” appena uscii l'infermiera accanto al mio letto vidi un angelo, era bellissimo, e mi sorrideva, mi chiedevo se fossi già morta: “Chi sei?” “Sono il tuo angelo custode” “Aiutami sto male” “Non aver paura” respiravo a malapena “Ti prego aiutami non respiro” all'improvviso sparì, il terminale iniziò a fischiare terribilmente: “Cosa succede qui dentro?” “Presto portiamola nella sala di rianimazione” corsero veloci, ma io vedevo ugualmente tutto, non riuscivo a capire il perchè di tanta agitazione stavo bene, e seguivo la barella, cercarono di aiutarmi in tutti i modi, una strana apparecchiatura nel petto mi mandava scosse elettriche, il mio corpo sembrava rigido e traballava ad ognuna di essa, poi improvvisamente mi sentii risucchiata all'interno del mio corpo... mio Dio, sto male, respiro... malissimo... che mi succede? “Abbiamo ripreso il battito, si sta regolarizzando forza continuate, cerchiamo di non perderla” continuarono ancora e ancora poi uno dei dottori disse
:"Ecco, ora il battito è regolare teniamola sotto osservazione" restai nella sala di terapia intensiva per tutta la notte. Mi svegliai dopo qualche giorno un po' intontita e non capivo come mai Maurice non era venuto a farmi visita.
Seppi solo in seguito, uscita dall'ospedale che quel ragazzo mi aveva salvato la vita, piansi tantissimo lo avrei voluto vedere, ma infondo lo avevo già visto, era lui che vicino al letto mi diceva di non aver paura, sapeva di esser malato al cuore e sapeva che non sarebbe vissuto a lungo.
Per me fu come una spina al cuore. Non dimenticherò mai quel suo sorriso che mi infondeva tanto coraggio. Addio Maurice, mio angelo custode.
fine

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